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Da varesino, da padano e da giovane appassionato di politica non si poteva non essere interessati e affascinati dalla figura di Roberto Maroni. Ricordo che la prima volta in cui gli rivolsi una domanda mi corresse prima ancora di iniziare, perché mi era scappato di dargli del “Lei”. Non avevo ancora assorbito il modo di vivere la comunità leghista, per cui non esistono ministri o parlamentari, ma soltanto persone da chiamare con il nome di battesimo, oppure, con quel soprannome che da solo valeva la storia della politica italiana: Bobo. Così lo ricordo: Ministro, Segretario e Presidente, ma sempre, e prima di tutto, un militante tra militanti. Sempre a disposizione quando come lo volevamo incontrare per confrontarci. Indimenticabile in questo senso è stata la scuola politica presso la Sala Comacina, con gli ospiti fiamminghi affascinati dalla profondità dell’analisi di Bobo, in cui il modello Lega diventava paradigma anche per la realtà delle Fiandre nella complicata relazione con l’amministrazione del Belgio. Ma soprattutto per me il Bobo è l’immagine del Che Guevara su sfondo verde-padano che divampò sull’allora primordiale Twitter: un meme nato in una delle mille notti di Piazza del Podestà a Varese. Subito inviato al Bobo e da lui twittato. Una provocazione ancora attuale per ricordare come ogni lotta nasce per il luogo dove batte il nostro cuore, la nostra Patria fatta di laghi e colline, che ti ricorda Bobo e continua a lottare, perché come diceva il Che: “chi lotta può perdere, ma chi non lotta ha già perso”.

Stay tuned

Davide Quadri