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Credo che la sfida del nostro tempo sia quella di restituire alla politica un orizzonte. Una visione di Paese che soltanto un Movimento radicato nei territori, forte di un’identità e dell’esperienza di centinaia di amministratori locali e nazionali, può osare spingere ben oltre la data della prossima tornata elettorale.

Oggi più che mai la politica ha bisogno di lungimiranza, di strategie di lungo respiro che possano suscitare il ritorno alla partecipazione di coloro che ingrossano le file dell’astensionismo.

Non è necessario inventare niente di nuovo, basta accorgersi di come la sfida della rappresentanza delle comunità locali si saldi naturalmente con la difesa della centralità della “Persona”.

Una sorta di nuovo umanesimo che si declina in progetti concreti e in una visione rivoluzionaria del rapporto tra il cittadino e la società. Non a caso, insistere per un rinnovamento in senso autenticamente federale delle istituzioni coincide con la domanda di trasparenza, controllo e responsabilità, che proviene dai settori produttivi del nostro tessuto sociale e industriale, oltre a rappresentare lo strumento migliore per coinvolgere in modo diretto la cittadinanza nell’azione politica.

Non bisogna certo rassegnarsi all’obiezione di chi vorrebbe screditare l’autonomismo come una forma di governo inadatta alle sfide globali. Al contrario, è proprio il contesto internazionale a reclamarne l’attualità, a partire dai luoghi in cui infuria la tragedia della guerra, dove soltanto l’applicazione del diritto di autodeterminazione dei popoli potrà garantire un futuro di libertà e benessere. Dire “No alla guerra” non è uno slogan umanitario, ma la testimonianza necessaria di chi crede nel primato della Persona, della Famiglia e della Società su qualsiasi pretesa di sacrificare delle vittime innocenti in nome di uno Stato o di un altro Leviatano.

Su questi temi è sempre più urgente una presa di coscienza collettiva, a partire da coloro che hanno forgiato la loro esperienza nella militanza e nel servizio alla comunità.

Occorre un moto d’orgoglio e identità che sappia coinvolgere anche il sistema scolastico, che deve avere l’audacia di tendere all’obiettivo di avere un insegnante dedicato per ogni dieci studenti. Un traguardo possibile se si scardinano, almeno in parte, le attuali rigidità burocratiche, per aprire le porte della scuola ai contributi di esperti, appassionati e professionisti che operano nel settore privato. In questa direzione sono stati fatti passi fondamentali, dal punto di vista operativo e culturale, nella recente riforma del cosiddetto “4+2”, che ha avvicinato in modo significativo il mondo dell’impresa alle istituzioni scolastiche. Tuttavia, chi insegue una visione politica ambiziosa deve accettare la sfida di non essere mai soddisfatto, nemmeno quando si raggiungono importanti risultati intermedi. D’altronde, non dobbiamo mai dimenticare come spesso le più accorte iniziative in ambito governativo, regionale o comunale, si scontrano con un’esperienza della vita quotidiana ancora troppo distante dagli standard che meritiamo. Un esempio emblematico è rappresentato dal prelievo fiscale, vissuto dai ceti produttivi alla stregua di una punizione immeritata, che peraltro non trova corrispondenza nella qualità dei servizi pubblici. Tra questi, il più irrinunciabile, quello che rappresenta la premessa necessaria a tutti gli altri, è senza dubbio il diritto alla sicurezza.

In una società che vuole davvero costruirsi intorno al valore della Persona, garantire le condizioni per vivere senza paura di essere aggrediti, derubati, truffati o molestati, equivale a presidiare un fondamentale baluardo di civiltà. Allo stesso modo la rigorosa difesa dei confini, insieme al contrasto alla tratta di esseri umani, diventano politiche dal profondo valore umanitario, necessarie a sradicare tanto lo sfruttamento di chi è vittima dei trafficanti, quanto il degrado che porta criminalità e insicurezza nelle nostre strade.

Soltanto con la consapevolezza di quello che vogliamo e del “perché” lo crediamo giusto, possiamo orientarci su molti altri temi, apparentemente più distanti dal centro del dibattito pubblico.

Penso all’ambiente, alla natalità, al divario crescente tra grandi centri abitati e la cosiddetta “Italia Profonda”: tessuto di borghi montani, paesaggi straordinari e altrettanto straordinarie opportunità di sviluppo. Per coglierle occorre definire la priorità politica di ridare futuro ai giovani, promuovendo in ogni modo il formarsi di nuove famiglie e la nascita di figli.

Anche qui, pur riconoscendo l’ottimo impatto di alcune iniziative, occorre trasformare l’esistente in un vero e proprio quadro di opportunità su misura delle famiglie. Una strategia che sappia tenere insieme politiche energetiche e sviluppo sociale, fondata sulla consapevolezza che soltanto le istituzioni locali hanno la competenza, oltre che legittimità storica e democratica, di modellare il proprio presente e il proprio futuro, senza dover piegarsi alle pretese ideologiche che troppo spesso caratterizzano le istituzioni europee.

Di queste e di innumerevoli altre istanze si compone il mosaico che siamo chiamati a interpretare, come donne e uomini del nostro tempo, cittadini eredi di una tradizione che ha origine con il Giuramento di Pontida e si tramanda attraverso nomi come Carlo Cattaneo e Gianfranco Miglio. Una tradizione di autonomia e libertà, di concretezza e pragmatismo, forgiata da quel “rito ambrosiano” tanto caro al grande Bobo Maroni, che oggi deve continuare a camminare sulle nostre gambe.     

Igor De Biasio