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Chi da molto tempo ha prestato perlomeno attenzione o ha in qualche modo
militato per la causa dell’autonomia dei popoli reali (microstati, “nazioni
proibite”, macroregioni, regioni ufficiali, culture e lingue minoritarie, etc…) si è
reso conto, non senza amarezza, della crisi complessiva vissuta dalla causa
stessa nel corso del primo quarto del XXI secolo.
Il clima novecentesco, giunto fino al consumarsi effettivo dello scorso secolo,
era caratterizzato da una chiara e forte resistenza delle ragioni identitarie e
nazionalitarie, al punto di partorire nuovi movimenti, studi circostanziati,
associazioni di difesa linguistica e culturale.
Una serie di concause ha finito per ridimensionare questo umore di carattere
prepolitico e attitudinale, riducendolo in certi casi addirittura ad oggetto di
“scherno”.
Due sono i piani da considerare. Il primo è più sociopolitico: globalizzazione
incalzante, riassetto delle forze dominanti nel mondo che sembra tramare
occultamente o più palesemente contro la rinascita delle “piccole patrie”, viste
come fonte di meccanismi eversivi verso l’attuale sistema di equilibri.
L’esempio più eclatante arriva in Europa dal caso Scozia e dal caso
Catalogna, la cui parabola grottesca fa capo a un iter di falsa democrazia
orchestrata da una cultura UE attenta a dar ragione alle capitali delle
rispettive realtà statuali.
Il secondo livello evenemenziale riguarda l’individualismo e il dirittualismo
che sono stati trainati dai nuovi vincenti vettori di contatto e comunicazione
sociale come i new media e i social.
I giovani tendono a non riconoscersi più in comunità a sfondo etnoculturale
ma a gruppi di appartenenza sessuale ed intersessuale, esoterica,
consumistica, finanziaria.
Il malinteso vento di etnoegualitarismo ha fatto il resto.
Appare condivisibile a questo punto il piano d’azione che i federalisti hanno
scelto in Italia per garantire finalmente un po’ di autonomia alle regioni che la
chiedono ormai da mezzo secolo.
Una via fondamentalmente “tecnica” quella della cosiddetta “autonomia
differenziata” di fronte alla crisi dell’opzione padanista e neonazionalista ma
anche un serio tentativo di fornire una strategia ontologicamente politica
rispetto a precedenti tentativi forse troppo “ideologici”